giovedì 29 novembre 2007

GOOGLE pensa alle energie rinnovabili.



Sempre a proposito di quello che dicevamo ieri, ovvero 'fatti e non parole', mentre in Italia si cincischia con polemiche veramente inutili, e strumentali, dall'estero, dal resto del mondo occidentale arrivano testimonianze di gente che si attiva, che fa fatti, e che prova a muoversi di fronte allo sterile trend apocalittico, che sembra aver addormentato da noi molte coscienze, in fatto di ambiente.


Così arriva dall'america una notizia che riguarda uno de più grandi colossi della Rete, Google. Vi riporto integralmente qui sotto l'ottimo pezzo scritto da Gabriele De Palma per www.corriere.it




Google svolta decisamente verso il verde, e annuncia, come riporta il New York Times, un'iniziativa mirata allo sviluppo di forme di energia rinnovabili. Il progetto prende il nome di «Energia rinnovabile meno dispendiosa del carbone», sintetizzata nella sigla RE C(renewable energy cheaper than coal) e prevede sostanziosi investimenti da parte della società fondata da Brin e Page. Centinaia di milioni di dollari verranno spesi per assoldare esperti di energie alternative nella speranza di trovare fonti di approvvigionamento energetico più pulite e meno costose di quelle attuali basate sui combustibili fossili.

FILANTROPIA E UTILE - Commentando l'iniziativa, Larry Page ha dichiarato: «Nonostante ci siano alcune tecnologie utili alle energie rinnovabili (eolica, geotermica e solare) sento parlare del tema molto meno di quanto vorrei». Di qui la decisione di impegnarsi in un settore strategico e assai dispendioso. L'annuncio è condito da molte belle parole sul futuro del Pianeta e la responsabilità aziendale ma ancora una volta non bisogna considerare la scelta di Google frutto esclusivamente di un gesto benevolo nei confronti dell'umanità e del pianeta. Il motivo alla base di RE C è utilitaristico: Google possiede molti data center, in cui vengono svolte tutte le operazioni necessarie all'erogazione di servizi online. I costi energetici dei data center sono una delle voci più incidenti sul bilancio aziendale, e non è mistero che la grande G scelga i Paesi in cui insediare i propri centri di elaborazione dati in larga misura in base al costo dell'energia elettrica. Per avere un termine di paragone, si pensi che un data center composto da diecimila server consuma energia quanto un comune di mille abitanti. Nonostante le perplessità degli analisti finanziari di Wall Street - che hanno storto il naso all'annuncio e ritengono che Google abbia fatto il passo più lungo della gamba - se gli investimenti nella ricerca di energia rinnovabile avranno buon esito il ritorno sarà notevole. Non è un caso infatti che altre aziende hi-tech si stiano muovendo nella stessa direzione. Recentemente il produttore di hardware HP ha installato un impianto a energia solare (un megawatt) nello stabilimento di San Francisco e prenotato la fornitura di 80 gigawatt/ora in Irlanda per il 2008.

STRATEGIA - Per progredire il più velocemente possibile in questo nuovo e insidioso mercato, a MountainView hanno deciso di procedere come al solito: gli investimenti sulla ricerca (che avverrà negli stabilimenti di ricerca e sviluppo di Google) e le acquisizioni delle realtà più innovative in campo energetico. La costola filantropica dell'azienda (google.org) si preoccuperà infatti di acquisire le migliori start-up del settore. E sta già collaborando con due di queste: la eSolar, che ha sviluppato un sistema di specchi per concentrare l'energia solare e generare così il vapore per alimentare dei generatori elettrici; e la Makani Power, che sta lavorando allo sviluppo di particolari turbine che catturano i venti, più violenti e costanti, presenti in alta quota.
Gabriele De Palma

martedì 27 novembre 2007

Celentano, gli italiani e i fatti.



Non deve essere molto bene questo paese, per aver bisogno delle tele-prediche di Celentano.




Che vengono attese messianicamente ogni volta, come se dal verbo del plurimilionario molleggiato dovessero derivare chissà quali illuminazioni sul nostro futuro, come razza italica e come razza umana, più in generale.




Eh sì perchè come è noto, Celentano si è da tempo - dai tempi di Yuppi Du, ma anche prima - calato nei panni del guru, del salvatore della patria e del mondo tutto intero. Le sue ricette sono sempre un po' così, un po' già sentite, un po' populiste, un po' furbe, e un po' common sense, ma sempre - o forse proprio per questo - arrivano al buon punto di suggestionare il tele-spettatore medio italiano, stordito dall'abuso dei reality o dal carosello dei politici di turno, all'ultimo TG.




"Oh, finalmente qualcuno che parla chiaro!"




Poco importa che poi il tele-predicatore ammannisca le sue verità tra una traccia e l'altra del suo ultimissimo CD casualmente in uscita proprio in questi giorni.




L'importante è che Celentano dia la linea.




E così stavolta non è più 'rock' o 'lento'. Stavolta è 'terra sì' 'terra no', il meccanismo è sempre lo stesso: buoni e cattivi. Buoni da una parte, cattivi dall'altra. E stavolta i cattivi sono quei cattivoni che vogliono il nucleare, fregandosene della distruzione, degli avvelenamenti, del futuro.




Menomale che c'è Celentano. Da ieri sera i 9 milioni di italiani si sentono più rassicurati. La linea è dettata. Bisogna aspettare la fusione fredda. Che tanto sta per arrivare. E quelli che vogliono riaprire qualche centrale nucleare, lo fanno solo per acchiappare i voti.




Non sono come lui, che dice le cose che pensa perchè le pensa, e non perchè gli servono per vendere qualche migliaio di copie in più dei suoi CD.




Ma pazienza. La linea è dettata, e stiamo tutti più tranquilli.




L'Italia ha qualche chiacchiera in più da giostrare, nel mare magnum di chiacchiere in cui ogni giorno annega questo paese.




Intanto, apriamo il Corriere della Sera di oggi e scopriamo - in due paginone - che la Germania sta vincendo la sua colossale sfida al risparmio energetico: entro il 2020, tra 13 anni la Germania produrrà il 40 per cento in meno di emissioni dannose. Grazie ad un piano gigantesco di energia rinnovabile che coinvolgerà ogni strato sociale del paese.




Vabbè ma quelli sono i soliti barbosi crucchi.




Loro mica ce l'hanno un Celentano....

lunedì 26 novembre 2007

Robert Redford Vs. Al Gore.



Sembra che neanche il Nobel per la Pace abbia avuto il potere di 'sdoganare' Al Gore dalla immagine di perdente. Visto che continuano a piovergli critiche da tutte le parti, dall'estero (in Italia è proprio di ieri la durissima esternazione di Reinhold Messner, l'alpinista più conosciuto al mondo) e dagli Stati Uniti.


Fa una certa impressione leggere oggi il commento di Robert Redford, attore, regista, produttore, direttore e inventore del Sundance Film Festival e da sempre eroe dell'area 'liberal' americana, progressista e ambientalista (chi potrà mai dimenticare film come 'Corvo rosso non avrai il mio scalpo' ?).


Intervistato dal periodico britannico «New Statesman» Redford ci va giù durissimo contro l'ex candidato alla Presidenza Americana, accusandolo di essere un vero opportunista:


«Non era facile essere a favore dell’ambiente agli albori del movimento - dice Redford parlando della sua militanza ecologista che risale al 1969 - perché quelli erano giorni nei quali i produttori di greggio e petrolio controllavano gran parte dello show della propaganda . A quell'epoca parlare dell’energia solare significava essere tacciati di essere degli estremisti. »


Gore all'epoca non c'era proprio, dice Redford, e anzi queste tematiche non lo interessavano per niente. Ma allora come è nato, secondo il divo Redford questo impegno ambientalista di Gore, e perchè ?


«Gore sta facendo un sacco di soldi, è immerso nella sua belle époque, nel suo momento eroico» è la risposta secca, «per Gore deve essere stato davvero duro soffrire la sconfitta alla elezioni presidenziali del 2000 e dunque ha scelto un’altra strada per tornare sotto i riflettori: l’ambiente».


E aggiunge: «Dietro ad Al Gore ci sono molti soldi perché nell’amministrazione Clinton girava tanto denaro ed è grazie a questo che Al Gore è riuscito a costruirsi la nuova campagna, facendo proprio il tema giusto al momento giusto».


Non credo si tratti di una qualche ritorsione personale. Redford è personaggio rimasto sempre estraneo a giochi di potere, e noto per dire sempre quello che pensa.

domenica 18 novembre 2007

Carlo Ripa di Meana su Ban Ki-Moon e Al Gore: E' solo terrorismo mediatico.


Ecologista pentito ? Non si direbbe. Ma Carlo Ripa di Meana, ambientalista della prima ora, ex commissario europeo per l'Ambiente, padre della Carbon Tax, ex portavoce dei verdi, presidente di Italia Nostra, spara a zero sui catastrofisti dell'ultima ora. E lo fa dalle colonne del Corriere della Sera oggi.
Ecco un paio di battute rilasciate a Mariolina Iossa:
D. Carlo Ripa di Meana siamo sull'orlo della catastrofe, dice il segretario generale delle Nazioni Unite.
R. Ban Ki Moon fa solo terrorismo mediatico per spuntare un successo diplomatico a Bali a dicembre. In realtà sta solo preparando per la comunità internazionale, con motivazioni apocalittiche, una fattura di 150 miliardi di dollari l'anno.
D. Ma come, proprio lei, non pensa che bisogna sbrigarsi ? O forse teme che sia troppo tardi ?
R. Al contrario. Kyoto è stato un fallimento. Ma questa fraseologia catastrofista "Il mondo brucia, i deserti avanzano, gli oceani si innalzano, facciamo presto", di Ban Ki Moon e di quell'altro grande retore del disastro imminente che è Al Gore, ha alle spalle uno dei tanti interminabili rapporti dell'Ipcc, organizzazione formata da 2.500 scienziati che tutto è meno che una vera comunità scientifica. Al Gore adesso fa conferenze, ma quando era vicepresidente non fece nulla, tranne che autorizzare la deforestazione dell'Oregon.
D. Non negherà l'effetto serra ? Non c'entrano forse le emissioni di C02 causate dall'uomo ?
R. Io respingo questo genere di operazioni propagandistiche. L'affermazione che Ban Ki Moon ha scolpito nel bronzo, e cioè che il riscaldamento globale è tutta colpa dell'uomo, non è condivisa da tutta la comunità scientifica. Richard Lindzen e Christopher Landsea, maggior esperto di uragani al mondo, sono usciti dall'IPCC.
D. Un inutile frastuono allora ?
R. Che nasconde insieme a una conseguenza paralizzante per la sua carica apocalittica e terroristica, decisioni costosissime. E copre il fallimento di Kyoto. Le dichiarazioni di impegno roboanti sono irrealistiche. Così non ci muoviamo di un passo.
Insomma, niente male per un ex ultrà dell'ambientalismo. Folgorato sulla via di Damasco ? O di Kyoto ?

mercoledì 14 novembre 2007

Cogliere le opportunità sul Nucleare - Parla uno dei massimi esperti italiani.

A corredo del nostro post di ieri, riteniamo molto interessante ascoltare il parere di uno dei massimi esperti del settore, in Italia, Marco Ricotti, docente di Ingegneria Nucleare del Politecnico di Milano. Queste sono le sue dichiarazioni rilasciate oggi all'agenzia AGI:
Supporto teorico alla ricerca e tecnologico alla sperimentazione concreta degli impianti.
Questo il ruolo che il nostro paese puo' svolgere nell'ambito della 'Global nuclear energy partnership' (Gnep).
"Non basta mettere a disposizione soltanto il nostro patrimonio di conoscenze, ma occorre fare sperimentazione con i nostri laboratori. Comunque spetta all'Italia decidere come e quanto partecipare alla Gnep".
Parla Marco Ricotti, docente di Ingegneria nucleare del Politecnico di Milano. La Gnep, infatti, lascia a ogni paese aderente la possibilita' di stabilire le modalita' di partecipazione. Ricotti spera, pero', che l'Italia colga pienamente quest'opportunita'.
"L'Italia - ha sottolineato l'ingegnere nucleare - puo' fare molto non solo sul piano teorico e di progettazione. Ci sono tanti laboratori sperimentali con cui poter fare ricerca. Tra questi c'e' sicuramente il Siet di Piacenza che e' uno dei 3-4 laboratori al mondo in grado di simulare componenti e sistemi nucleari di ampissime dimensioni. Un altro laborotorio sperimentale e' quello dell'Enea a Brasimone.
Quest'ultimo in passato si e' occupato della sperimentazione di reattori a sodio. Poi con gli anni le ricerche si sono concentrate sui reattori a piombo. Le ricerche che potrebbero svolgersi all'interno di questo laboratorio sono di molti tipi: fluidodinamico, termoidraulico, sui sistemi di sicurezza sui materiali. La sede di Brasimone dell'Enea e' gia' inserita nei circuiti internazionali ed europei per lo studio di metalli liquidi. E poi potrebbe essere rimesso in funzione il laboratorio dell'Enea alla Casaccia".
Ma per Ricotti anche le universita' possono fare la loro parte. "Ci sono alcuni laboratori all'interno di alcuni atenei, come quello di Pisa e di Torino. L'Universita' di Milano, dove sono docente, si appoggia al Siet di Piacenza. Poi c'e' il Leap, il laboratorio di energia e ambiente di Piacenza, che si occupa anche di fare ricerca sulla carbon sequestration e sul settore delle biomasse".
Ma per Ricotti l'Italia deve stare attenta a non farsi intralciare da ostacoli burocratici. "I punti critici che l'Italia dovra' affrontare se vuole entrare pienamente in questa partneship sono principalmente due. Il primo riguarda la questione dei finanziamenti. Spero che non sia soltanto il ministero dello sviluppo economico a sostenere l'iniziativa. Oltre agli investimenti privati, anche il ministero dell'universita' e della ricerca dovrebbe supportare questo progetto. Se decidiamo di entrare in questa iniziativa internazioanale dobbiamo farlo bene.
Un altro punto critico e' quello della necessita' di realizzare almeno un deposito superficiale temporaneo dei rifiuti. Anche se grazie a questo accordo le scorie radioattive potrebbero essere smaltite fuori dal nostro paese, e' auspicabile che almeno in Italia ci sia un deposito non permanente. L'accordo di cooperazione prevede infatti che ci siano paesi con competenze pluriennali in grado di fornire combustibile e tecnologia, ad esempio impianti nucleari piu' semplici e compatti, e altri paesi in grado di ospitare in un apposito sito reattori per bruciare il combustibile di altri paesi".
Ricotti non ha escluso che l'Italia possa fare entrambe le cose. "Solo che non c'e' la volonta' politica per entrare pienamente in questo settore. Secondo me, e' piu' ragionevole, nonche' scientificamente corretto, che un gruppo di esperti individuino un sito per un deposito temporaneo superficiale".
Siamo in fase di approvazione di finanziaria. Chissà che qualcuno non ascolti la voce nel deserto dell'Ing. Ricotti...

lunedì 12 novembre 2007

L'Italia appesa al Petrolio e al Gas, mentre il resto del mondo...



Ci voleva l'intervento del Presidente del Consiglio Romano Prodi alla inaugurazione ieri a Roma del Ventesimo Congresso Mondiale dell'Energia, per far accorgere improvvisamente, anche molti quotidiani italiani, oggi, che la questione 'nucleare' non sembra più rinviabile, specie nel nostro paese.


Le statistiche sono impietose: i consumi nazionali di energia in Italia dipendono, come è noto, per il 43% dal petrolio (tra le percentuali più alte di tutto il mondo occidentale), e per il 36% dal gas, praticamente tutte e due insieme, l'80% del nostro fabbisogno.


Negli altri paesi dell'area occidentale, l'energia nucleare continua a prodursi, con tecniche sempre più sofisticate, e con rischi sempre minori riguardanti il problema dell'eliminazione delle scorie.


Gli Stati Uniti producono ormai il 29,2% di energia nucleare su scala mondiale. La Francia, il 16,3%. Seguono Giappone (11%), Germania (5.9%), Russia (5.4%), Corea (5,3%) e Canada (3.3%).


L'Italia con il referendum di vent'anni fa ha deciso 'una volta per tutte'.


Ma adesso è il Premier stesso che chiede 'più ricerca sul nuovo nucleare'.


Non è sempre tardi per cambiare idea, ma questa volta siamo molto vicini al 'tardi', anzi sembreremmo ancor più vicini al 'fuori tempo massimo'.


Ma forse il nostro paese è proprio quello dove le scelte vincenti (nel calcio è una nostra specialità) arrivano sempre in 'zona cesarini'.....

giovedì 8 novembre 2007

L'Agenzia Internazionale per l'Energia: vicino il colpo di grazia per l'economia globale.


















Suonano davvero sirene minacciose per il nostro futuro, e qui bisogna cominciare a chiedersi se queste Cassandre agiscano in modo disinteressato, o no.



Stamattina ecco che cosa propone il menu internazionale:



98,62 (dollari per un barile di petrolio)

841,75 (dollari per un’oncia d’oro)

1,4731 (dollari per acquistare un euro).



Tre cifre per tre record segnati sui mercati mondiali. E la sensazione, la certezza, secondo alcuni, che si stanno ormai approssimando le quote critiche: 100 dollari per il barile, 900 per l’oro, euro a 1,50 sul dollaro.



Cosa questo comporterà per l'uomo comune, per l'uomo della strada è assai facile immaginarlo. Lo verifichiamo anzi, ogni giorno.



L'allarme sui prezzi è ormai planetario, coinvolge gli Stati Uniti e l'Unione Europea.


Ma pare che oltre il puro allarmismo, per ora, non si riesca ad andare proprio.



In Europa ci si continua a baloccare con convegni e congressi - l'ultimo, per carità, assai autorevole che è inserito nel grande World Science Forum che si è aperto oggi a Budapest e che contiene una sessione di due giorni tutta dedicata al tema della sostenibilità ambientale e dello sviluppo - in America, non si fa altro che esprimere 'preoccupazione', ma solo per il fatto che il prezzo del petrolio non corre tanto per il timore che vengano meno i rifornimenti quanto perché è spinto (parecchio) dall’euro che punta diritto verso un cambio di 1,50 contro il dollaro.



Nel frattempo, l’Agenzia internazionale per l’energia assicura - bontà sua - che l’impennata fino 100 dollari sarà «il colpo di grazia per l’economia globale» e ipotizza che si arrivi a 159 dollari entro il 2030.



In tutto questo nessuno - o molto pochi in realtà - che si pongano la semplice domanda: a chi giova l'aumento a cifre folli delle energie primarie da combustibili fossili ? Chi trarrà giovamento da tutto questo ? E soprattutto come questa corsa spaventosa condizionerà le scelte future, che riguarderanno noi, ma soprattutto le generazioni dopo di noi, cioè i nostri figli ???

giovedì 1 novembre 2007

Perchè nel nostro Paese è così difficile fare le cose sul serio, specie in tema di ambiente ?



Perchè nel nostro paese è così difficile fare le cose sul serio, specie in materia di ambiente ?


Ce lo chiediamo un po' basiti, un po' rassegnati, ma certo sconfortati dal constatare come, di fronte ad un catastrofismo sempre più annunciato, a toni sempre più 'estremi' pompati dai mezzi di comunicazione, il cittadino comune non abbia veramente strumenti, nessuno strumento di un certo rilievo - oltre quello che offre una comunicazione spesso veramente appiattita e superficiale - per informarsi sui temi ambientali che sono diventati ormai una vera urgenza.


E la constatazione diventa amarezza quando si scopre che in paesi diversi dal nostro le cose si fanno, si portano avanti, si progettano, con grande dispendio di mezzi e con sacrosanto impegno.
Così apprendiamo che in Spagna sarà realizzata una rivoluzionaria (per tecniche e comunicazione) Ciudad del Medio Ambiente, nel cuore della Murcia, una Città interamente dedicata all'approfondimento delle tematiche ambientali, ma non solo dal punto di vista teorico, bensì con il pieno interessamento delle 'politiche', di quello che bisogna o bisognerebbe fare, tutti, politici e cittadini semplici, addetti specializzati e volontari, per fare qualcosa di concreto per il nostro pianeta.
Il progetto nella sua completa definizione si può esplorare cliccando qui sotto:
Invece di tante parole, spesso gettate sconsideratamente al vento, non si potrebbe fare, pensare prima di tutto, e poi realizzare qualcosa di simile anche nel nostro paese ?