sabato 29 dicembre 2007

I rifiuti di Napoli e l'inceneritore tedesco. Una vicenda esemplare.


Non facciamo altro che parlare di ambiente, in Italia. Parlare, appunto.

La vicenda dei rifiuti campani che sta agitando le digestioni natalizie di molti, che da quelle parti devono fare i conti con i miasmi delle tonnellate di 'monnezza' lasciate a putrefare in mezzo alle strade, appare emblematica, di come siamo ridotti qui, nel nostro paese, in fatto di utilizzo razionale del territorio e di rispetto dell'ambiente.

E' di ieri la notizia che Remondis, la più grande azienda tedesca di smaltimento dei rifiuti, è disponibile a realizzare un inceneritore per bruciare tutta l'immondizia della Campania, producendo elettricità.

In realtà, Remondis è solo la punta del fenomeno: oltre-Brennero hanno capito da tempo - non sono geni, sono solo persone 'pensanti' - che l'incenerimento dei rifiuti è un business.

Remondis, per realizzare il nuovo impianto, che potrebbe smaltire in tempi assai brevi i 5.000.000 di 'ecoballe' (blocchi di immondizia impacchettata) che attendono di essere smaltiti in Campania, chiede un contratto di 15 anni.

E' più che probabile che qualche amministratore pubblico, per risolvere la faccenda penosa dei rifiuti sballottati di qua e di là, e degli inceneritori nostrani che nessuno vuole 'sotto casa', finirà per firmarlo quel contratto.

Così si continuerà nel vittorioso trend adottato negli ultimi 14 anni: nei quali l'Italia ha gettato al vento qualcosa come 2 miliardi di Euro. Eh sì, perchè esportare mondezza all'Italia costa, e costa parecchio: costa per l'esattezza 215 euro per tonnellata (comprensivi di trasporto via treno oltr'Alpe sui treni della EcoLog).

In Campania, poi, costa ancora di più: Il commissario per l'emergenza (c'è anche questo, ovviamente, in Italia, un commissario per l'emergenza), spende da un minimo di 290 euro a un massimo di 1000 euro la tonnellata per smaltire la spazzatura nelle discariche della Campania.

Ma all'estero, direte voi, che ci guadagnano ?

Beh, all'estero, non sono scemi per niente. Remondis costruirà il nuovo inceneritore in un'area tra la Renania e il Lussemburgo. E questo inceneritore produrrà elettricità. Elettricità doppiamente 'pulita', senza disboscare, senza estrarre da cave o pozzi. Elettricità che in parte i tedeschi terranno per loro, e in parte rivenderanno a paesi limitrofi, ricavandone profitto.

Insomma, saremo proprio noi - come già facciamo attualmente - a fornire ai tedeschi, pagando di tasca nostra, la materia prima per fare energia elettrica !

Non è tipicamente italiano tutto questo ?

martedì 25 dicembre 2007

Benedetto XVI a Natale: La Terra è maltrattata.


Buon Natale a tutti i lettori del Blog di Cristianiperl'ambiente !
L'umanità è così «occupata con se stessa, ha bisogno di tutto lo spazio e di tutto il tempo in modo così esigente per le proprie cose, che non rimane nulla per l’altro, per il prossimo, per il povero, per Dio».
Benedetto XVI ha appena pronunciato queste parole, durante la Messa di Natale, in Piazza San Pietro.
E nell'Omelia, anche un forte richiamo ai temi abientali, temi ai quali questo pontificato sembra davvero molto sensibile.
Ispirandosi alle parole di Luca sulla natività di Cristo nella stalla di Betlemme, dopo che Giuseppe e Maria non avevano trovato posto in un albergo, Ratzinger ha preso spunto per denunciare una società «troppo occupata con se stessa», da non lasciare nulla per l'altro «per il prossimo, per il povero, per Dio».
Ma la stalla, secondo il Papa, rappresenta anche la terra «maltrattata», un 'immagine sempre più attuale - ha osservato Ratzinger - in un mondo «inquinato e minacciato per il suo futuro», a causa «dell'abuso delle energie e del loro egoistico sfruttamento senza alcun riguardo».
Ecco il passo integrale, della Omelia di Benedetto XVI, sulla quale sarà bene, forse, meditare tutti, cattolici e non, atei e non, comunque sia cittadini di questo mondo:
Gregorio di Nissa, nelle sue omelie natalizie ha sviluppato la stessa visione partendo dal messaggio di Natale nel Vangelo di Giovanni: "Ha posto la sua tenda in mezzo a noi" (Gv 1,14). Gregorio applica questa parola della tenda alla tenda del nostro corpo, diventato logoro e debole; esposto dappertutto al dolore ed alla sofferenza. E la applica all’intero cosmo, lacerato e sfigurato dal peccato. Che cosa avrebbe detto, se avesse visto le condizioni, in cui si trova oggi la terra a causa dell’abuso delle energie e del loro egoistico sfruttamento senza alcun riguardo? Anselmo di Canterbury, in una maniera quasi profetica, ha una volta descritto in anticipo ciò che noi oggi vediamo in un mondo inquinato e minacciato per il suo futuro: "Tutto era come morto, aveva perso la sua dignità, essendo stato fatto per servire a coloro che lodano Dio. Gli elementi del mondo erano oppressi, avevano perso il loro splendore a causa dell’abuso di quanti li rendevano servi dei loro idoli, per i quali non erano stati creati" (PL 158, 955s).
Così, secondo la visione di Gregorio, la stalla nel messaggio di Natale rappresenta la terra maltrattata. Cristo non ricostruisce un qualsiasi palazzo. Egli è venuto per ridare alla creazione, al cosmo la sua bellezza e la sua dignità: è questo che a Natale prende il suo inizio e fa giubilare gli Angeli. La terra viene rimessa in sesto proprio per il fatto che viene aperta a Dio, che ottiene nuovamente la sua vera luce e, nella sintonia tra volere umano e volere divino, nell’unificazione dell’alto col basso, recupera la sua bellezza, la sua dignità.
Così Natale è una festa della creazione ricostituita. A partire da questo contesto i Padri interpretano il canto degli Angeli nella Notte santa: esso è l’espressione della gioia per il fatto che l’alto e il basso, cielo e terra si trovano nuovamente uniti; che l’uomo è di nuovo unito a Dio. Secondo i Padri fa parte del canto natalizio degli Angeli che ora Angeli e uomini possano cantare insieme e in questo modo la bellezza del cosmo si esprima nella bellezza del canto di lode. Il canto liturgico – sempre secondo i Padri – possiede una sua dignità particolare per il fatto che è un cantare insieme ai cori celesti. È l’incontro con Gesù Cristo che ci rende capaci di sentire il canto degli Angeli, creando così la vera musica che decade quando perdiamo questo con-cantare e con-sentire.Nella stalla di Betlemme cielo e terra si toccano. Il cielo è venuto sulla terra. Per questo, da lì emana una luce per tutti i tempi; per questo lì s’accende la gioia; per questo lì nasce il canto.
Alla fine della nostra meditazione natalizia vorrei citare una parola straordinaria di sant’Agostino. Interpretando l’invocazione della Preghiera del Signore: "Padre nostro che sei nei cieli", egli domanda: che cosa è questo – il cielo? E dove è il cielo? Segue una risposta sorprendente: "…che sei nei cieli – ciò significa: nei santi e nei giusti. I cieli sono, sì, i corpi più alti dell’universo, ma tuttavia corpi, che non possono essere se non in un luogo. Se, però, si crede che il luogo di Dio sia nei cieli come nelle parti più alte del mondo, allora gli uccelli sarebbero più fortunati di noi, perché vivrebbero più vicini a Dio. Ma non è scritto: ‘Il Signore è vicino a quanti abitano sulle alture o sulle montagne’, ma invece: ‘Il Signore è vicino ai contriti di cuore’ (Sal 34[33],19), espressione che si riferisce all’umiltà. Come il peccatore viene chiamato ‘terra’, così al contrario il giusto può essere chiamato ‘cielo’" (Serm. in monte II 5, 17). Il cielo non appartiene alla geografia dello spazio, ma alla geografia del cuore. E il cuore di Dio, nella Notte santa, si è chinato giù fin nella stalla: l’umiltà di Dio è il cielo. E se andiamo incontro a questa umiltà, allora tocchiamo il cielo. Allora diventa nuova anche la terra.
Con l’umiltà dei pastori mettiamoci in cammino, in questa Notte santa, verso il Bimbo nella stalla! Tocchiamo l’umiltà di Dio, il cuore di Dio! Allora la sua gioia toccherà noi e renderà più luminoso il mondo. Amen.
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martedì 18 dicembre 2007

Il ritorno al nucleare - Una necessità ?


Adesso ci sarà di sicuro chi dirà che loro parlano perchè fanno nient'altro che i loro interessi. Ma invece un buon dato di crescita nella responsabilità e nella consapevolezza di questo paese si avrebbe anche - e molto - con il rispetto dell'opinione degli altri, e soprattutto con la cancellazione del pre-giudizio, che ormai delegittima a priori l'interlocutore a prescidere di qualunque cosa dica.


"Parla bene del Nucleare ? Certo, è il suo interesse ! "


E' un modo di ragionare molto grezzo, e molto dannoso.


Invece, la giornata di studio promossa dall'Associazione Italiana Nucleare (Ain) che si è tenuta ieri a Roma, ha presentato dei dati davvero molto interessanti, se solo si decida di leggerli:


Il primo è che l'energia elettrica in Italia costa fino al 45% in piu' rispetto al resto d'Europa, e il nostro paese dovra' pagare da qui al 2012 ben 55 miliardi di euro per rispettare il protocollo di Kyoto a causa del fatto che non riusciamo a diminuire i gas serra anche per i combustibili fossili utilizzati per produrre energia !


"In queste condizioni - ha dichiarato il segretario dell'Ain Ugo Spezia - si rischia veramente il declino economico - mentre con quegli stessi soldi si potrebbero costruire otto reattori nucleari di terza generazione che hanno emissioni molto piu' basse''.

Il secondo dato importante è che nel resto del mondo ci sono 439 reattori in esercizio, 33 in costruzione (11 in Europa) e 94 in fase di progettazione. L'Italia partecipa ad iniziative internazionali di ricerca sia in ambito europeo che mondiale, come il progetto Gnep (Global Nuclear Energy Partnership) del Dipartimento dell'Energia americano. Inoltre alcune industrie italiane, come ad esempio l'Ansaldo Nucleare, partecipa a numerosi progetti per centrali all'estero, dalla Romania alla Cina agli stessi Usa.


Ma paradossalmente, questa tecnologia, che è nostra, noi non la possiamo utilizzare per migliorare e difendere la qualità e la quantità della nostra energia.


Ma è possibile proseguire su questa strada ??

sabato 15 dicembre 2007

Chiusa la Conferenza di Bali - Avanti Tutta a Piccoli Passi !


Sembra che anche a livello mondiale, le conferenze obbediscano ad una regola precisa: più grandi e monumentali sono, e più 'piccolo' è il risultato che partoriscono.


E' il vecchio tema dell'elefante e del topolino.


Ma - dicono in molti - 'qualcosa' è sempre meno di 'niente'.


E allora prendiamo in mano i risultati di questa mega conferenza di Bali sull'ambiente la cui conclusione proprio per le difficoltà di redigere il testo frutto di un faticosissimo compromesso, è stata spostata ad oggi, e portiamocela dietro nel 2008, come segnale incoraggiante per il futuro.


Le sorti del nostro pianeta stanno a cuore a tutti, non solo agli ecologisti. Ed è bene che le grandi manovre comincino appena possibile, per cambiare le linee di uno sviluppo mondiale che appare sempre meno sostenibile.


L'accordo raggiunto a Bali vede da una parte l'Ue, i cui Paesi hanno fatto notevoli passi in avanti nel taglio delle emissioni nocive,che spingevano per un accordo che chiedesse alle nazioni in via di sviluppo di tagliare le emissioni tra il 25 e il 40 per cento nel 2020 rispetto ai livelli del 1990.


Ma a questi obiettivi si sono opposti gli Stati Uniti, forti anche dell'appoggio di Giappone, Canada e Russia.


Le differenze tra Usa e Ue erano complicate dalla presenza di un altro importante gruppo, i Paesi più poveri e quelli in via di sviluppo: l'economia di India e Cina stanno facendo di questa area geografica quella che produrrà a breve le quantità piu corpose di gas serra.


Il documento finale non ha quindi stabilito alcun obbligo sulle emissioni di gas serra ma ha fissato tutta una serie di punti e tasselli per tracciare il cammino da qui al 2009, quando sarà firmato un nuovo protocollo di Kyoto, più ambizioso di quello attuale, che dovrà essere firmato a Copenhagen nel 2009 e avrà effetto a partire dalla fine del 2012.


Sembra che questo accordo non sia disprezzabile. Non è cioè un rinvio, ma qualcosa di concreto che stabilirà il cammino - passo dopo passo - per arrivare ad un accordo vero, e non fittizio come quello di Kyoto, i cui obiettivi e i cui termini sono stati smentiti già il giorno dopo la sua firma.


E' un futuro incerto. Ma forse meno incerto. E' un dialogo difficile, quasi impossibile, tirato da egoismi di parte e interessi di parte, come sempre nelle storie umane. Ma è pur sempre un dialogo, cioè qualcosa.

lunedì 10 dicembre 2007

Ambiente - L'Italia che non c'è




Che politica in fatto di ambiente ? Ma forse dovremmo dire: che politica ? E basta. Il nostro è un paese dove la politica latita. Non latita - ahinoi - la chiacchiera dei politici, che imperversa ovunque. Ma la politica, quella vera, quella alta e nobile, ahinoi, latita eccome. E non da adesso.




In questo paese, non siamo certo qui a scoprirlo, vige in ogni dove, a livello politico, la buona norma dell'improvvisazione. Che è il contrario della politica. La politica, in Italia, serve o per (tentare di) riparare a qualche danno, o per adottare qualche provvedimento che l'attualità indica come necessario, anzi imprescindibile.




Non c'è mai, o quasi mai, una vera progettualità, in Italia. Si vive alla giornata, si campicchia, sulla base di miriadi di decreti e decretini che limano, smussano, regolamentano, delimitano, scontano, condonano, depenalizzano, sanzionano a gettone, e per quanto serve alla durata di una legislatura (se mai per puro miracolo si riesce ad arrivare alla fine di essa).




I buoni propositi, nella politica italiana, sono pari soltanto ai fallimenti annunciati, e puntualmente maturi, alla fiera dei conti. Un caso emblematico, la patente a punti che sembrava la panacea, ma era anch'essa una semplice 'pecetta', e come 'pecetta' oggi si manifesta, in mancanza di un serio piano di prevenzione e di controllo sulle strade, che ogni giorno spuntano il loro bollettino di guerra e di morti.




Così tristemente avviene anche nella materia che dovrebbe starci più a cuore, l'ambiente, dal quale tutto il resto proviene (salute, lavoro, benessere, futuro). In Italia non c'è o non c'è mai stato un progetto a lungo termine sull'Ambiente.




Ogni governo che si succede non fa che sterilmente assecondare gli umori più o meno agitati o più o meno sopiti delle varie componenti della propria maggioranza: un condono di là, una pista ciclabile di qua, e vai col tango.




Intanto, in congenita mancanza di un serio piano di programma a lungo termine su Ambiente ed Energia, il nostro paese è sempre più ai margini dell'Europa, sempre più dipendente dall'OPEC, sempre più fragile, sempre più arretrato, sempre più povero delle sue ricchezze ambientali (qualcuno un giorno o l'altro dovrebbe scrivere sui nostri giornali cosa sono diventate le nostre campagne, cosa i nostri boschi o le nostre montagne, sempre meno piene di vita (animale e umana), sempre più silenziose, sempre meno produttive).




Adesso da noi, in fatto di Ambiente ed Energia, sembra arrivato il tempo del pentimento: qualcuno comincia ad occuparsi delle scelte fatte (avventatamente, e sempre sulla base di spinte emotive, mai sulla base di progetti, di piani razionali) nel passato.




Ma anche questo tempo sembra molto fatuo. Anche oggi, come sempre, si discute molto e si fa poco. Molto poco.




Cosa manca ? Mancano, forse, le 'Accademie'. Sì, avete capito bene, le 'Accademie'... Ma non le accademie nel senso di Università. Le accademie nel senso 'vichiano', quelle accademie che nobilitano l'agire umano, che attraverso l'intelligenza e la razionalità, attraverso le istituzioni pubbliche, incastonano l'uomo al centro della natura, e rendono la natura feconda e produttiva grazie all'opera dell'uomo.




Questa intelligenza in Italia sembra veramente merce rara, e ce n'è grandemente bisogno. Perchè questa era (e siamo sicuri lo è anche ora, nonostante tutto) la patria dell'intelligenza. L'intelligenza che faceva scrivere a Giambattista Vico, intellettuale e filosofo, uno dei padri del pensiero moderno:




L'ordine delle cose procedette:


che prima furono le selve, dopo i tuguri,


quindi i villaggi, appresso le città,


finalmente l'accademie.




Ecco noi siamo fermi alle città. Ci mancano tanto le accademie..




martedì 4 dicembre 2007

Mistero: Il Ghiacciaio Perito Moreno non arretra, ma avanza.


Per capire quanto ancora frammentarie e contraddittorie siano le nostre conoscenze in fatto di ambiente, e di clima, basta considerare un dato che è appena stato rilevato con sicurezza di documentazione dalla comunità scientifica.


Sembra infatti che geologi ed esperti ambientali argentini abbiano appurato che il ghiacciaio patagonico del Perito Moreno, uno dei più grandi del mondo con 257 km quadrati, e assai famoso anche per fini turistici, non arretra, anzi avanza inesorabilmente, anno dopo anno.


Il gigante bianco continua infatti ad avanzare nelle acque del Lago Argentino, avvicinandosi cosi' sempre di piu' alla costa della penisola di Magellano.

Al momento le ipotesi valutate dagli scienziati sono tre: che il suo drenaggio interno stia
cambiando, fatto che aumenta il volume del ghiaccio e quindi il suo avanzamento; che i movimenti sismici ricorrenti accelerando i suoi movimenti, agevolino lo scivolamento; o che gli avanzamenti siano in qualche modo legati alla corrente di El Nino.
Tutte e tre queste ipotesi però - finora - non hanno trovato nemmeno un elemento di prova.


Ed è abbastanza singolare che con tutte le conoscenze che possediamo - che possiedono i nostri scienziati occidentali e orientali - un fatto tutto sommato marginale come questo - e così in controtendenza rispetto ai catastrofici scenari mondiali immaginati - resti del tutto inspiegabile.

lunedì 3 dicembre 2007

Al via la sfida di Bali.


Sono molte le aspettative per il vertice mondiale sul clima che si è appena aperto a Bali, Indonesia. Molti i punti all'ordine del giorno, ma soprattutto bisognerà capire da subito 'che aria tira', se cioè ci sia una volontà emergente di stabilire un dialogo tra le esigenze contrapposte tra paesi ricchi e paesi poveri.


Non si può non essere in generale diffidenti nei confronti di tavoli 'globali', di organizzazioni così complesse che spesso si muovono come elefanti e che altrettanto spesso partoriscono topolini.


Ma disperare non è il nostro stile, e dunque staremo a vedere. Intanto, anche per fornire un piccolo memorandum a chi non sa ancora bene di cosa si parla e di cosa si decide, ecco un'esauriente scheda dei dati e dei temi sul tappeto a Bali, appena tracciato dall'agenzia Ansa, sul sito www.ansa.it


Si apre oggi a Bali in Indonesia la 13/a Conferenza internazionale sul clima che vede riuniti i Paesi firmatari della Convenzione sul clima del 1992. In contemporanea si svolgerà la 3/a Conferenza delle Parti che serve come incontro delle Parti del Protocollo di Kyoto (CMP 3). Da una parte l'Ue che vuole target di stabilizzazione della Co2 per stoppare l'aumento della temperatura a 2 gradi dall' altra gli Usa contrari a impegni vincolanti. Cina e India rivendicano il diritto allo sviluppo. Attesi in tutto 6.000 partecipanti. Ecco gli obiettivi della Conferenza secondo gli esperti:

- COSA PUO' PRODURRE LA CONFERENZA: è necessario un significativo passo avanti, nella forma di una tabella di marcia, per un nuovo accordo internazionale post-2012 su un' ulteriore azione globale contro i cambiamenti climatici. La Conferenza di Bali dovrebbe mettere in moto il processo verso la definizione di tale accordo. Per evitare un gap temporale tra il termine del primo periodo del Protocollo di Kyoto ed un successivo accordo, è necessario che le negoziazioni vengano completate nel 2009, per lasciare poi ai Governi nazionali il tempo necessario per la ratifica (entro al fine del 2012);

- ELEMENTI PRINCIPALI: a Bali bisognerebbe concordare non solo la tempistica ma anche l'agenda. Le Parti dovrebbero concordare le aree principali che il nuovo accordo dovrà coprire, come la mitigazione (inclusa la deforestazione evitata), ma anche l'adattamento e gli aspetti tecnologici e finanziari. I Paesi industrializzati dovranno continuare svolgere un ruolo di leader nella riduzione delle emissioni di gas serra, in base al principio della "responsabilità comune ma differenziata". Bisognerebbe offrire ai Paesi in via di sviluppo incentivi per incoraggiarli ad applicare tecnologie pulite, ed aiutarli a minimizzare i costi delle emissioni da deforestazione. Adattamento e mitigazione devono andare di pari passo nella risposta ai cambiamenti climatici.

- FATTORI DI SUCCESSO: si potrà affermare che la Conferenza Bali avrà avuto successo se deciderà di avviare le negoziazioni su un nuovo accordo internazionale sui cambiamenti climatici post-2012, se concorderà un'agenda per le negoziazioni, e se stabilirà una scadenza per il completamento delle negoziazioni stesse. Non ottenere questo rappresenterebbe un fallimento.

- OBIETTIVO E' PREPARARE DOPO KYOTO Sostituire e a migliorare gli accordi di Kyoto: è questo il principale obiettivo che si pone il summit di Bali, la 13esima conferenza internazionale sul clima che di è aperta questa mattina sotto l'egida dell'Onu e a cui partecipano 190 delegati, rappresentanti dei paesi firmatari della Convenzione sul clima del 1992. Secondo gli organizzatori, le due settimane di negoziati potranno essere considerate un successo se getteranno le basi per un accordo post 2012, quando scadrà quello firmato a Kyoto. Chiedendo ai paesi partecipanti uno sforzo collettivo, il segretario esecutivo della conferenza, Yvo de Boer, ha detto che "toccherà ai paesi sviluppati dare il buon esempio, visto che le nazioni in via di sviluppo devono contemporaneamente combattere la povertà". I due grandi nodi da sciogliere sono la stabilizzazione delle concentrazioni dei gas serra, e la scaletta delle priorità per l'accordo che sostituirà quello firmato a Kyoto nel '97. Boer ha poi suggerito ad Australia e Stati Uniti di aiutare gli altri paesi invece di imporre sanzioni contro di loro. E' la prima volta che l'Australia partecipa alla conferenza sul clima in quanto l'ex premier conservatore John Howard ha sempre rifiutato di firmare il protocollo di Kyoto, mentre il neo eletto premier laburista Kenvin Rudd, che come primo atto da capo del nuovo governo ha ratificato il protocollo segnando subito la differenza con il suo predecessore in fatto di clima, parteciperà alla conferenza con ben quattro ministri, l'ex rock star Peter Garrett (ministro per l'Ambiente), Penny Wong (risorse idriche con delega per 'Kyoto'), Wayne Swan (Tesoro) e Simon Crean (Commercio). La partecipazione dell'Australia ha isolato gli Stati Uniti, che ancora rifiutano di firmare il protocollo.

- IL PUNTO Sì storico dell'Australia al Protocollo di Kyoto. Si apre così, con una svolta di enorme valore politico per il futuro degli accordi salva-clima, la 13/a Conferenza sui cambiamenti climatici al via oggi a Bali, e fino al 14 dicembre, in Indonesia, e che vede riuniti 190 paesi con la partecipazione di 10.000 persone in totale. L'annuncio è arrivato direttamente all'inizio dei lavori del summit mondiale e per l'Australia c'é stato un'ovazione da parte dei delegati con un lungo applauso a scena aperta per la decisione del neo eletto premier laburista australiano Kevin Rudd. Oltre a Kyoto, l'Australia stupisce tutti con la presenza, per la prima volta in quasi 11 anni, al summit delle Nazioni Unite sul clima. A rappresentare Canberra ci saranno l'ex rock star Peter Garrett, ministro per l' Ambiente, Penny Wong, ministro per le risorse idriche con delega per "Kyoto", il ministro del Tesoro Wayne Swan e quello del Commercio Simon Crean. La firma del documento che dà il via alla ratifica del Protocollo di Kyoto e la presenza dell' Australia a Bali ha ulteriormente isolato gli Stati Uniti, che ancora rifiutano di firmare. Secondo gli organizzatori, le due settimane di negoziati potranno essere considerate un successo se getteranno le basi per un accordo post 2012, quando scadrà quello firmato a Kyoto. I due grandi nodi da sciogliere sono la stabilizzazione delle concentrazioni dei gas serra, e la scaletta delle priorità per l'accordo che sostituirà quello firmato a Kyoto nel '97. Chiedendo ai partecipanti uno sforzo collettivo, il segretario esecutivo del summit, Yvo de Boer, ha detto che ''toccherà ai paesi sviluppati dare il buon esempio, visto che le nazioni in via di sviluppo devono contemporaneamente combattere la povertà". La 13/a Conferenza internazionale sul clima vede riuniti i Paesi firmatari della Convenzione sul clima del 1992. In contemporanea si svolgerà la 3/a Conferenza delle Parti che serve come incontro delle Parti del Protocollo di Kyoto (CMP 3). L'Ue chiede target di stabilizzazione della Co2 per stoppare l'aumento della temperatura a 2 gradi. Gli Usa sono contrari a impegni vincolanti. Cina e India rivendicano il diritto allo sviluppo. (fonte Ansa).

giovedì 29 novembre 2007

GOOGLE pensa alle energie rinnovabili.



Sempre a proposito di quello che dicevamo ieri, ovvero 'fatti e non parole', mentre in Italia si cincischia con polemiche veramente inutili, e strumentali, dall'estero, dal resto del mondo occidentale arrivano testimonianze di gente che si attiva, che fa fatti, e che prova a muoversi di fronte allo sterile trend apocalittico, che sembra aver addormentato da noi molte coscienze, in fatto di ambiente.


Così arriva dall'america una notizia che riguarda uno de più grandi colossi della Rete, Google. Vi riporto integralmente qui sotto l'ottimo pezzo scritto da Gabriele De Palma per www.corriere.it




Google svolta decisamente verso il verde, e annuncia, come riporta il New York Times, un'iniziativa mirata allo sviluppo di forme di energia rinnovabili. Il progetto prende il nome di «Energia rinnovabile meno dispendiosa del carbone», sintetizzata nella sigla RE C(renewable energy cheaper than coal) e prevede sostanziosi investimenti da parte della società fondata da Brin e Page. Centinaia di milioni di dollari verranno spesi per assoldare esperti di energie alternative nella speranza di trovare fonti di approvvigionamento energetico più pulite e meno costose di quelle attuali basate sui combustibili fossili.

FILANTROPIA E UTILE - Commentando l'iniziativa, Larry Page ha dichiarato: «Nonostante ci siano alcune tecnologie utili alle energie rinnovabili (eolica, geotermica e solare) sento parlare del tema molto meno di quanto vorrei». Di qui la decisione di impegnarsi in un settore strategico e assai dispendioso. L'annuncio è condito da molte belle parole sul futuro del Pianeta e la responsabilità aziendale ma ancora una volta non bisogna considerare la scelta di Google frutto esclusivamente di un gesto benevolo nei confronti dell'umanità e del pianeta. Il motivo alla base di RE C è utilitaristico: Google possiede molti data center, in cui vengono svolte tutte le operazioni necessarie all'erogazione di servizi online. I costi energetici dei data center sono una delle voci più incidenti sul bilancio aziendale, e non è mistero che la grande G scelga i Paesi in cui insediare i propri centri di elaborazione dati in larga misura in base al costo dell'energia elettrica. Per avere un termine di paragone, si pensi che un data center composto da diecimila server consuma energia quanto un comune di mille abitanti. Nonostante le perplessità degli analisti finanziari di Wall Street - che hanno storto il naso all'annuncio e ritengono che Google abbia fatto il passo più lungo della gamba - se gli investimenti nella ricerca di energia rinnovabile avranno buon esito il ritorno sarà notevole. Non è un caso infatti che altre aziende hi-tech si stiano muovendo nella stessa direzione. Recentemente il produttore di hardware HP ha installato un impianto a energia solare (un megawatt) nello stabilimento di San Francisco e prenotato la fornitura di 80 gigawatt/ora in Irlanda per il 2008.

STRATEGIA - Per progredire il più velocemente possibile in questo nuovo e insidioso mercato, a MountainView hanno deciso di procedere come al solito: gli investimenti sulla ricerca (che avverrà negli stabilimenti di ricerca e sviluppo di Google) e le acquisizioni delle realtà più innovative in campo energetico. La costola filantropica dell'azienda (google.org) si preoccuperà infatti di acquisire le migliori start-up del settore. E sta già collaborando con due di queste: la eSolar, che ha sviluppato un sistema di specchi per concentrare l'energia solare e generare così il vapore per alimentare dei generatori elettrici; e la Makani Power, che sta lavorando allo sviluppo di particolari turbine che catturano i venti, più violenti e costanti, presenti in alta quota.
Gabriele De Palma

martedì 27 novembre 2007

Celentano, gli italiani e i fatti.



Non deve essere molto bene questo paese, per aver bisogno delle tele-prediche di Celentano.




Che vengono attese messianicamente ogni volta, come se dal verbo del plurimilionario molleggiato dovessero derivare chissà quali illuminazioni sul nostro futuro, come razza italica e come razza umana, più in generale.




Eh sì perchè come è noto, Celentano si è da tempo - dai tempi di Yuppi Du, ma anche prima - calato nei panni del guru, del salvatore della patria e del mondo tutto intero. Le sue ricette sono sempre un po' così, un po' già sentite, un po' populiste, un po' furbe, e un po' common sense, ma sempre - o forse proprio per questo - arrivano al buon punto di suggestionare il tele-spettatore medio italiano, stordito dall'abuso dei reality o dal carosello dei politici di turno, all'ultimo TG.




"Oh, finalmente qualcuno che parla chiaro!"




Poco importa che poi il tele-predicatore ammannisca le sue verità tra una traccia e l'altra del suo ultimissimo CD casualmente in uscita proprio in questi giorni.




L'importante è che Celentano dia la linea.




E così stavolta non è più 'rock' o 'lento'. Stavolta è 'terra sì' 'terra no', il meccanismo è sempre lo stesso: buoni e cattivi. Buoni da una parte, cattivi dall'altra. E stavolta i cattivi sono quei cattivoni che vogliono il nucleare, fregandosene della distruzione, degli avvelenamenti, del futuro.




Menomale che c'è Celentano. Da ieri sera i 9 milioni di italiani si sentono più rassicurati. La linea è dettata. Bisogna aspettare la fusione fredda. Che tanto sta per arrivare. E quelli che vogliono riaprire qualche centrale nucleare, lo fanno solo per acchiappare i voti.




Non sono come lui, che dice le cose che pensa perchè le pensa, e non perchè gli servono per vendere qualche migliaio di copie in più dei suoi CD.




Ma pazienza. La linea è dettata, e stiamo tutti più tranquilli.




L'Italia ha qualche chiacchiera in più da giostrare, nel mare magnum di chiacchiere in cui ogni giorno annega questo paese.




Intanto, apriamo il Corriere della Sera di oggi e scopriamo - in due paginone - che la Germania sta vincendo la sua colossale sfida al risparmio energetico: entro il 2020, tra 13 anni la Germania produrrà il 40 per cento in meno di emissioni dannose. Grazie ad un piano gigantesco di energia rinnovabile che coinvolgerà ogni strato sociale del paese.




Vabbè ma quelli sono i soliti barbosi crucchi.




Loro mica ce l'hanno un Celentano....

lunedì 26 novembre 2007

Robert Redford Vs. Al Gore.



Sembra che neanche il Nobel per la Pace abbia avuto il potere di 'sdoganare' Al Gore dalla immagine di perdente. Visto che continuano a piovergli critiche da tutte le parti, dall'estero (in Italia è proprio di ieri la durissima esternazione di Reinhold Messner, l'alpinista più conosciuto al mondo) e dagli Stati Uniti.


Fa una certa impressione leggere oggi il commento di Robert Redford, attore, regista, produttore, direttore e inventore del Sundance Film Festival e da sempre eroe dell'area 'liberal' americana, progressista e ambientalista (chi potrà mai dimenticare film come 'Corvo rosso non avrai il mio scalpo' ?).


Intervistato dal periodico britannico «New Statesman» Redford ci va giù durissimo contro l'ex candidato alla Presidenza Americana, accusandolo di essere un vero opportunista:


«Non era facile essere a favore dell’ambiente agli albori del movimento - dice Redford parlando della sua militanza ecologista che risale al 1969 - perché quelli erano giorni nei quali i produttori di greggio e petrolio controllavano gran parte dello show della propaganda . A quell'epoca parlare dell’energia solare significava essere tacciati di essere degli estremisti. »


Gore all'epoca non c'era proprio, dice Redford, e anzi queste tematiche non lo interessavano per niente. Ma allora come è nato, secondo il divo Redford questo impegno ambientalista di Gore, e perchè ?


«Gore sta facendo un sacco di soldi, è immerso nella sua belle époque, nel suo momento eroico» è la risposta secca, «per Gore deve essere stato davvero duro soffrire la sconfitta alla elezioni presidenziali del 2000 e dunque ha scelto un’altra strada per tornare sotto i riflettori: l’ambiente».


E aggiunge: «Dietro ad Al Gore ci sono molti soldi perché nell’amministrazione Clinton girava tanto denaro ed è grazie a questo che Al Gore è riuscito a costruirsi la nuova campagna, facendo proprio il tema giusto al momento giusto».


Non credo si tratti di una qualche ritorsione personale. Redford è personaggio rimasto sempre estraneo a giochi di potere, e noto per dire sempre quello che pensa.

domenica 18 novembre 2007

Carlo Ripa di Meana su Ban Ki-Moon e Al Gore: E' solo terrorismo mediatico.


Ecologista pentito ? Non si direbbe. Ma Carlo Ripa di Meana, ambientalista della prima ora, ex commissario europeo per l'Ambiente, padre della Carbon Tax, ex portavoce dei verdi, presidente di Italia Nostra, spara a zero sui catastrofisti dell'ultima ora. E lo fa dalle colonne del Corriere della Sera oggi.
Ecco un paio di battute rilasciate a Mariolina Iossa:
D. Carlo Ripa di Meana siamo sull'orlo della catastrofe, dice il segretario generale delle Nazioni Unite.
R. Ban Ki Moon fa solo terrorismo mediatico per spuntare un successo diplomatico a Bali a dicembre. In realtà sta solo preparando per la comunità internazionale, con motivazioni apocalittiche, una fattura di 150 miliardi di dollari l'anno.
D. Ma come, proprio lei, non pensa che bisogna sbrigarsi ? O forse teme che sia troppo tardi ?
R. Al contrario. Kyoto è stato un fallimento. Ma questa fraseologia catastrofista "Il mondo brucia, i deserti avanzano, gli oceani si innalzano, facciamo presto", di Ban Ki Moon e di quell'altro grande retore del disastro imminente che è Al Gore, ha alle spalle uno dei tanti interminabili rapporti dell'Ipcc, organizzazione formata da 2.500 scienziati che tutto è meno che una vera comunità scientifica. Al Gore adesso fa conferenze, ma quando era vicepresidente non fece nulla, tranne che autorizzare la deforestazione dell'Oregon.
D. Non negherà l'effetto serra ? Non c'entrano forse le emissioni di C02 causate dall'uomo ?
R. Io respingo questo genere di operazioni propagandistiche. L'affermazione che Ban Ki Moon ha scolpito nel bronzo, e cioè che il riscaldamento globale è tutta colpa dell'uomo, non è condivisa da tutta la comunità scientifica. Richard Lindzen e Christopher Landsea, maggior esperto di uragani al mondo, sono usciti dall'IPCC.
D. Un inutile frastuono allora ?
R. Che nasconde insieme a una conseguenza paralizzante per la sua carica apocalittica e terroristica, decisioni costosissime. E copre il fallimento di Kyoto. Le dichiarazioni di impegno roboanti sono irrealistiche. Così non ci muoviamo di un passo.
Insomma, niente male per un ex ultrà dell'ambientalismo. Folgorato sulla via di Damasco ? O di Kyoto ?

mercoledì 14 novembre 2007

Cogliere le opportunità sul Nucleare - Parla uno dei massimi esperti italiani.

A corredo del nostro post di ieri, riteniamo molto interessante ascoltare il parere di uno dei massimi esperti del settore, in Italia, Marco Ricotti, docente di Ingegneria Nucleare del Politecnico di Milano. Queste sono le sue dichiarazioni rilasciate oggi all'agenzia AGI:
Supporto teorico alla ricerca e tecnologico alla sperimentazione concreta degli impianti.
Questo il ruolo che il nostro paese puo' svolgere nell'ambito della 'Global nuclear energy partnership' (Gnep).
"Non basta mettere a disposizione soltanto il nostro patrimonio di conoscenze, ma occorre fare sperimentazione con i nostri laboratori. Comunque spetta all'Italia decidere come e quanto partecipare alla Gnep".
Parla Marco Ricotti, docente di Ingegneria nucleare del Politecnico di Milano. La Gnep, infatti, lascia a ogni paese aderente la possibilita' di stabilire le modalita' di partecipazione. Ricotti spera, pero', che l'Italia colga pienamente quest'opportunita'.
"L'Italia - ha sottolineato l'ingegnere nucleare - puo' fare molto non solo sul piano teorico e di progettazione. Ci sono tanti laboratori sperimentali con cui poter fare ricerca. Tra questi c'e' sicuramente il Siet di Piacenza che e' uno dei 3-4 laboratori al mondo in grado di simulare componenti e sistemi nucleari di ampissime dimensioni. Un altro laborotorio sperimentale e' quello dell'Enea a Brasimone.
Quest'ultimo in passato si e' occupato della sperimentazione di reattori a sodio. Poi con gli anni le ricerche si sono concentrate sui reattori a piombo. Le ricerche che potrebbero svolgersi all'interno di questo laboratorio sono di molti tipi: fluidodinamico, termoidraulico, sui sistemi di sicurezza sui materiali. La sede di Brasimone dell'Enea e' gia' inserita nei circuiti internazionali ed europei per lo studio di metalli liquidi. E poi potrebbe essere rimesso in funzione il laboratorio dell'Enea alla Casaccia".
Ma per Ricotti anche le universita' possono fare la loro parte. "Ci sono alcuni laboratori all'interno di alcuni atenei, come quello di Pisa e di Torino. L'Universita' di Milano, dove sono docente, si appoggia al Siet di Piacenza. Poi c'e' il Leap, il laboratorio di energia e ambiente di Piacenza, che si occupa anche di fare ricerca sulla carbon sequestration e sul settore delle biomasse".
Ma per Ricotti l'Italia deve stare attenta a non farsi intralciare da ostacoli burocratici. "I punti critici che l'Italia dovra' affrontare se vuole entrare pienamente in questa partneship sono principalmente due. Il primo riguarda la questione dei finanziamenti. Spero che non sia soltanto il ministero dello sviluppo economico a sostenere l'iniziativa. Oltre agli investimenti privati, anche il ministero dell'universita' e della ricerca dovrebbe supportare questo progetto. Se decidiamo di entrare in questa iniziativa internazioanale dobbiamo farlo bene.
Un altro punto critico e' quello della necessita' di realizzare almeno un deposito superficiale temporaneo dei rifiuti. Anche se grazie a questo accordo le scorie radioattive potrebbero essere smaltite fuori dal nostro paese, e' auspicabile che almeno in Italia ci sia un deposito non permanente. L'accordo di cooperazione prevede infatti che ci siano paesi con competenze pluriennali in grado di fornire combustibile e tecnologia, ad esempio impianti nucleari piu' semplici e compatti, e altri paesi in grado di ospitare in un apposito sito reattori per bruciare il combustibile di altri paesi".
Ricotti non ha escluso che l'Italia possa fare entrambe le cose. "Solo che non c'e' la volonta' politica per entrare pienamente in questo settore. Secondo me, e' piu' ragionevole, nonche' scientificamente corretto, che un gruppo di esperti individuino un sito per un deposito temporaneo superficiale".
Siamo in fase di approvazione di finanziaria. Chissà che qualcuno non ascolti la voce nel deserto dell'Ing. Ricotti...

lunedì 12 novembre 2007

L'Italia appesa al Petrolio e al Gas, mentre il resto del mondo...



Ci voleva l'intervento del Presidente del Consiglio Romano Prodi alla inaugurazione ieri a Roma del Ventesimo Congresso Mondiale dell'Energia, per far accorgere improvvisamente, anche molti quotidiani italiani, oggi, che la questione 'nucleare' non sembra più rinviabile, specie nel nostro paese.


Le statistiche sono impietose: i consumi nazionali di energia in Italia dipendono, come è noto, per il 43% dal petrolio (tra le percentuali più alte di tutto il mondo occidentale), e per il 36% dal gas, praticamente tutte e due insieme, l'80% del nostro fabbisogno.


Negli altri paesi dell'area occidentale, l'energia nucleare continua a prodursi, con tecniche sempre più sofisticate, e con rischi sempre minori riguardanti il problema dell'eliminazione delle scorie.


Gli Stati Uniti producono ormai il 29,2% di energia nucleare su scala mondiale. La Francia, il 16,3%. Seguono Giappone (11%), Germania (5.9%), Russia (5.4%), Corea (5,3%) e Canada (3.3%).


L'Italia con il referendum di vent'anni fa ha deciso 'una volta per tutte'.


Ma adesso è il Premier stesso che chiede 'più ricerca sul nuovo nucleare'.


Non è sempre tardi per cambiare idea, ma questa volta siamo molto vicini al 'tardi', anzi sembreremmo ancor più vicini al 'fuori tempo massimo'.


Ma forse il nostro paese è proprio quello dove le scelte vincenti (nel calcio è una nostra specialità) arrivano sempre in 'zona cesarini'.....

giovedì 8 novembre 2007

L'Agenzia Internazionale per l'Energia: vicino il colpo di grazia per l'economia globale.


















Suonano davvero sirene minacciose per il nostro futuro, e qui bisogna cominciare a chiedersi se queste Cassandre agiscano in modo disinteressato, o no.



Stamattina ecco che cosa propone il menu internazionale:



98,62 (dollari per un barile di petrolio)

841,75 (dollari per un’oncia d’oro)

1,4731 (dollari per acquistare un euro).



Tre cifre per tre record segnati sui mercati mondiali. E la sensazione, la certezza, secondo alcuni, che si stanno ormai approssimando le quote critiche: 100 dollari per il barile, 900 per l’oro, euro a 1,50 sul dollaro.



Cosa questo comporterà per l'uomo comune, per l'uomo della strada è assai facile immaginarlo. Lo verifichiamo anzi, ogni giorno.



L'allarme sui prezzi è ormai planetario, coinvolge gli Stati Uniti e l'Unione Europea.


Ma pare che oltre il puro allarmismo, per ora, non si riesca ad andare proprio.



In Europa ci si continua a baloccare con convegni e congressi - l'ultimo, per carità, assai autorevole che è inserito nel grande World Science Forum che si è aperto oggi a Budapest e che contiene una sessione di due giorni tutta dedicata al tema della sostenibilità ambientale e dello sviluppo - in America, non si fa altro che esprimere 'preoccupazione', ma solo per il fatto che il prezzo del petrolio non corre tanto per il timore che vengano meno i rifornimenti quanto perché è spinto (parecchio) dall’euro che punta diritto verso un cambio di 1,50 contro il dollaro.



Nel frattempo, l’Agenzia internazionale per l’energia assicura - bontà sua - che l’impennata fino 100 dollari sarà «il colpo di grazia per l’economia globale» e ipotizza che si arrivi a 159 dollari entro il 2030.



In tutto questo nessuno - o molto pochi in realtà - che si pongano la semplice domanda: a chi giova l'aumento a cifre folli delle energie primarie da combustibili fossili ? Chi trarrà giovamento da tutto questo ? E soprattutto come questa corsa spaventosa condizionerà le scelte future, che riguarderanno noi, ma soprattutto le generazioni dopo di noi, cioè i nostri figli ???

giovedì 1 novembre 2007

Perchè nel nostro Paese è così difficile fare le cose sul serio, specie in tema di ambiente ?



Perchè nel nostro paese è così difficile fare le cose sul serio, specie in materia di ambiente ?


Ce lo chiediamo un po' basiti, un po' rassegnati, ma certo sconfortati dal constatare come, di fronte ad un catastrofismo sempre più annunciato, a toni sempre più 'estremi' pompati dai mezzi di comunicazione, il cittadino comune non abbia veramente strumenti, nessuno strumento di un certo rilievo - oltre quello che offre una comunicazione spesso veramente appiattita e superficiale - per informarsi sui temi ambientali che sono diventati ormai una vera urgenza.


E la constatazione diventa amarezza quando si scopre che in paesi diversi dal nostro le cose si fanno, si portano avanti, si progettano, con grande dispendio di mezzi e con sacrosanto impegno.
Così apprendiamo che in Spagna sarà realizzata una rivoluzionaria (per tecniche e comunicazione) Ciudad del Medio Ambiente, nel cuore della Murcia, una Città interamente dedicata all'approfondimento delle tematiche ambientali, ma non solo dal punto di vista teorico, bensì con il pieno interessamento delle 'politiche', di quello che bisogna o bisognerebbe fare, tutti, politici e cittadini semplici, addetti specializzati e volontari, per fare qualcosa di concreto per il nostro pianeta.
Il progetto nella sua completa definizione si può esplorare cliccando qui sotto:
Invece di tante parole, spesso gettate sconsideratamente al vento, non si potrebbe fare, pensare prima di tutto, e poi realizzare qualcosa di simile anche nel nostro paese ?

lunedì 22 ottobre 2007

Le riserve di Petrolio in picchiata.



La fonte è assai autorevole, e mette la parola fine su molte delle illazioni che hanno circolato nei mesi scorsi.


Chi si preoccupa delle sorti del nostro pianeta, e dell'uso sempre più necessario, diremo anzi decisivo, ultimativo, delle fonti alternative, farà bene a segnarsi questi dati:


La produzione di petrolio mondiale ha raggiunto il suo picco nel 2006, e dovrebbe calare della meta' nel 2030.


Lo stima L'Energy Watch Group (Ewg), secondo cui sara' difficile soddisfare la domanda nonostante il crescente sfruttamento delle altre energie fossili, il ricorso al nucleare e alle fonti alternative (evidentemente assai poco sviluppate ancora su scala mondiale).


Secondo l'Ewg, il mondo ha prodotto 81 mln di barili al giorno nel 2006. Nel 2020 dovrebbe produrne 58 mln e arrivare a soli 39 mln nel 2030.


Come faremo ? In fondo, mancano soltanto 23 anni !

mercoledì 17 ottobre 2007

Santa Sede: sì all'energia nucleare, no alle armi.

Dalla Santa Sede un nuovo appello contro la proliferazione delle armi nucleari. L'energia nucleare, è questa la posizione da tempo del Vaticano, è una risorsa importante, ma ogni utilizzo dell'energia nucleare a fini bellici è da condannare senza appello.
"La Santa Sede esorta tutte le autorita' politiche e la societa' civile a rifiutare le armi
nucleari", ha detto l'arcivescovo Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede all'Onu, che e' intervenuto alla Commissione per il disarmo e la sicurezza
internazionale del Palazzo di Vetro oggi
.

La Santa Sede, ha assicurato, "garantisce il suo sostegno all'Agenzia dell'Onu per l'Energia Nucleare, ribadendo l'urgenza di un uso pacifico e sicuro della tecnologia nucleare per uno sviluppo rispettoso dell'ambiente e delle popolazioni piu' svantaggiate". Nessuno
Stato membro del Trattato di non proliferazione, ha sottolineato l'arcivescovo, deve abusare "del suo legittimo diritto a sviluppare l'energia nucleare per scopi pacifici" al fine di produrre armi nucleari. L'osservatore vaticano ha, quindi, ribadito che "devono essere utilizzati tutti gli
strumenti della diplomazia per disinnescare quelle crisi" scaturite "dai tentativi di alcuni Paesi di acquisire le capacita"' di costruire armi atomiche. E sempre attraverso la diplomazia, ha affermato il presule, vanno dissuasi quegli Stati che sembrano voler incamminarsi su questa strada pericolosa.

Un intervento militare in questi casi, ha avvertito, "potrebbe solo peggiorare una situazione gia'
delicata e potrebbe portare ad una conflagrazione con nuove immense sofferenze ad un'umanita"' che gia' porta il peso delle devastazioni della guerra. Le Potenze nucleari, ha
aggiunto, "hanno una particolare responsabilita"' per costruire un mondo libero delle armi atomiche. Secondo il rappresentante vaticano, "il disarmo nucleare e la non
proliferazione possono rinforzarsi o indebolirsi vicendevolmente". Per questo, ha sottolineato ancora, entrambi sono un "imperativo" per il pieno adempimento del Trattato di
Non Proliferazione, ancora "in gran ritardo, come l'inizio dei negoziati per il bando sulla produzione di materiale fissile".
La Santa Sede, ha aggiunto, ritiene che le armi nucleari violino ogni aspetto della legge umanitaria. Sono, infatti, un affronto alla salvaguardia del pianeta, che puo' essere
distrutto da questi armamenti.
Nel suo intervento, mons. Migliore ha anche posto l'accento sul rischio che queste armi possano finire nelle mani dei terroristi, auspicando una
conferenza internazionale su questo tema, da tenere nel 2009.

lunedì 15 ottobre 2007

Agli italiani piace l'eco-sostenibile. I dati Tandberg.


Sono stati appena resi noti i dati di una ricerca che Ipsos Mori ha realizzato per conto di Tandberg su un campione di oltre 16 mila individui in 15 paesi dei 5 continenti e resa nota da Il Sole 24 ore.


Gli italiani, da questo sondaggio si rivelano - almeno a parole - tra i più sensibili nel 'premiare' attività industriali e imprenditoriali che tengano conto nei loro processi lavorativi del 'fattore ambientale.'


Ancor più degli italiani (33%), sono sensibili all'eco-compatibilità i cinesi (lì il problema dell'inquinamento è devastante) e gli australiani. In Europa, generalmente, il problema è meno avvertito, ma i consumatori italiani occupano un buon terzo posto alle spalle di Svezia e Paesi Bassi.


La maggioranza del grande pubblico (53%) tende a preferire negli acquisti la società ecologista. Nel campione sono massicciamente rappresentati i dipendenti aziendali. Ebbene, più dell'80% di questi , italiani compresi, preferirebbero lavorare per aziende "verdi".


Un dato qualificante viene dal fatto che i soggetti intervistati si dichiarano molto preoccupati della reputazione ambientale dell'azienda per la quale lavorano, cosa che suggerisce una certa partecipazione emotiva nei confronti delle politiche ambientali della propria azienda. Per capire meglio quanto questo aspetto sia diventato importante, la ricerca come i potenziali dipendenti preferiscano di gran lunga andare a lavorare in un'azienda "verde".


I cacciatori di talenti sono avvertiti.A questo punto, la domanda è d'obbligo: come fare perché le aziende siano più responsabili verso l'ambiente? Gli italiani ritengono che le iniziative più azzeccate siano i programmi di riciclaggio (49%), la produzione di materiali ecologici (39%) e la riduzione delle emissioni (39%).Infine, anche la riduzione dei viaggi di lavoro può essere un mezzo utile per ridurre, oltre che lo stress, le emissioni (auto e aerei) e proteggere l'ambiente.


Come ridurre i viaggi? Ad esempio, adottando le soluzioni di videocomunicazione. Chi lo ha fatto, sembra abbia guadagnato in produttività e qualità della vita.

venerdì 12 ottobre 2007

Al Gore vince il Premio Nobel per la Pace



Dunque Al Gore, come ampiamente preventivato, vince il Premio Nobel per la pace 2007 insieme al Comitato intergovernativo
dell'Onu per i cambiamenti climatici (Ipcc).

La motivazione ufficiale parla di premio assegnato per "i loro sforzi nel creare e diffondere una maggiore consapevolezza sugli effetti dell'azione umana sui cambiamenti climatici e per aver gettato le fondamenta delle misure necessarie per contrastare tali cambiamenti".

La popolarità di Al Gore come paladino della questione ambientale planetaria è esplosa dopo la realizzazione e il successo mondiale del film-documentario "Una scomoda verità" sul surriscaldamento terrestre.

Al Gore è un personaggio da sempre molto discusso, sempre al centro della ribalta, da quando nel 2000 perse - veramente per una manciata di voti, e per l'oscura vicenda dei seggi in Florida - la contesa elettorare contro George W. Bush.

Proprio mentre l'Accademia Reale di Stoccolma si accingeva a conferire il premio a Gore, nelle stesse ore si riaccendeva, stranamente, la polemica in America su quella contestatissima elezione.

Con nuove rivelazioni, secondo cui dietro la sconfitta di Gore nel 2000 ci sarebbe l'ex first lady Hillary Clinton, che all'ultimo momento avrebbe tolto fondi e spazio con la sua campagna in Senato.

Sul New York Times è uscita una pagina intera di pubblicità da parte di un comitato di fan (piuttosto danarosi, sembra) per convincere Gore a tentare nuovamente la sfida. E molti osservatori americani ritengono che nell'eventualità di una sua vittoria del Nobel - oggi concretizzatasi - le pressioni per una nuova candidatura diventeranno irresistibili.

Certo una candidatura di Gore sarebbe destinata a scompaginare del tutto il fronte democratico alle elezioni, già diviso tra Obama e Clinton.

Intanto ieri An Inconvenient Truth, il film-documentario di Al Gore è stato pesantemente stroncato dall'Alta Corte di Londra, che in un pronunciamento sollecitato da un camionista del Kent, padre di due studenti, ha decretato che l'opera di Gore contiene delle "non verità sconvenienti", e che pur essendo il film "largamente accurato", propone informazione "in un contesto di allarmismo ed esagerazione " delle cause e degli effetti del cambiamento climatico.

Insomma, Gore continua a far discutere, e farà discutere ancora parecchio...

lunedì 8 ottobre 2007

La Guerra della Meteorologia



Crediamo che sia sempre più importante, in questo clima di informazione omologata sul clima, tutta incentrata su un catastrofismo prossimo venturo, che sembra come paralizzare le nostre capacità di reazione, dare spazio alle voci eretiche, rispetto al pensiero dominante.
Una di queste è quella di Alessio Grosso, milanese, esperto di meteorologia, e previsioni del tempo, sicuramente una delle voci più autorevoli in questo campo, autore di diversi volumi divulgativi, l'ultimo dei quali, 'Apocalisse rossa' immagina scenari non così tanto fantasiosi, ma invece piuttosto inquietanti.
Questo è il suo nuovo articolo, che fa il punto della situazione sui cambiamenti climatici del pianeta.

Come pesci sul fondo dell'oceano siamo insensibili alla maggior parte delle cose che passano sopra le nostre teste. Esiste infatti un profondo scollamento tra il mondo accademico e la popolazione che assorbe quasi acriticamente tutto ciò che viene proposto dai media in tema di clima, ignorando le decine di saggi scientifici scritti con grande impegno ma con scarsi risultati per divulgare la materia.Da qui l’esperimento di fondere la narrativa con la scienza.
Ne è nato un nuovo genere letterario, il meteo-thriller, che ha avuto un inopinato successo di critica e di pubblico. Abbiamo sempre pensato, e probabilmente a ragione, che dietro il no di alcuni governi alla lotta per diminuire le concentrazioni dei gas serra ci fossero interessi politici e finanziari.Pochi hanno però indagato nel verso contrario.
Nessuno si è mai chiesto se dietro il quadro drammatico, dipinto da molta parte del mondo scientifico, che vede il Pianeta ormai votato al surriscaldamento e al peggioramento della qualità della vita, ci fossero altrettanti interessi privati.
Si pensi ad esempio ai finanziamenti per la ricerca, al business delle energie alternative, ma prima ancora dietro questo ambientalismo esasperato c’è l’ideologia, che vede l’uomo come un distruttore, la tecnologia come un cancro che divora il pianeta e così divinizza e glorifica la natura al tal punto da anteporre sempre e sistematicamente i suoi interessi ai nostri.Intendiamoci, chi non ama la natura?
Chi non ha visto nel no americano a Kyoto, la difesa dei propri interessi economici? Per ridurre le emissioni nel modo in cui è stato richiesto occorrono investimenti di milioni di dollari, quanti di noi oltretutto sarebbero disposti a rinunciare al benessere raggiunto solo perché la temperatura della Terra si alzerà di uno o due gradi?
Se è vero poi che ad ogni azione ne corrisponde una uguale e contraria è assai facile ipotizzare che la natura compensi prima o poi questo riscaldamento con una fase fredda (blocco corrente del Golfo, aumento dell’innevamento alle alte latitudini), tutto fa pensare che ci sia un’esasperazione nel discorso serra ed oltretutto molti sollevano il dubbio che sia l’aumento naturale della temperatura ad aver favorito l’accumulo di anidride e non il contrario, è il solito discorso dell’uovo e della gallina.
Perché oltretutto, ci si chiede, per giustificare le oscillazioni termiche e dunque i cambiamenti climatici non si chiamano mai in causa i cicli astronomici: variazione dell'orbita, inclinazione dell'asse terrestre, ciclo delle macchie solari, eventuali eventi catastrofici: in primis le eruzioni vulcaniche!In Apocalisse Nera il Presidente americano kenny Davenport avrebbe un'arma segreta di modificazione climatica che spiegherebbe il suo rifiuto di ratificare il Protocollo di Kyoto.
Sono queste le voci che si rincorrono nei palazzi della politica, di una certa politica, quella ovviamente legata alle posizioni di estrema sinistra, sostenute anche da alcuni parlamentari russi. Quanto c'è di vero in queste affermazioni? Ci sono realmente progetti volti a fare del clima una macchina da guerra più potente dell'atomica?
Ebbene APOCALISSE NERA prova a trasformare queste supposizioni, questi sospetti, in realtà e traccia scenari, neanche a dirlo, apocalittici, con la natura maltrattata che si ribella e con le prospettive di una carestia senza precedenti che travolge non solo l'economia ma le primarie fonti di sussistenza dei principali Paesi industrializzati, con il rischio di tornare ai tempi della clava e della pietra.La modificazione artificiale del tempo è un progetto che parte da lontano, dagli anni 60, ai tempi della guerra fredda.
Qualcuno proposte di bonificare le aree ghiacciate spruzzandogli sopra sostanze che assorbono la luce solare, ad esempio della fuliggine. Il fine? Promuovere ad aree agricole zone altrimenti abbandonate a sè stesse. Altra bizzarra proposta quella di spargere sugli specchi lacustri una pellicola chimica innocua ed insapore per impedire l'evaporazione dell'acqua ed averne così un maggior quantitativo a disposizione.
Ecco poi le bombe H utilizzate per spianare le montagne, ad esempio le Alpi, in modo da riorientare i flussi dei venti. Una delle più folli è sicuramente ascrivivile al russo Chernkov, che propose di usare navicelle spaziali per costruire un anello di polvere di Potassio intorno alla Terra simile a quello di Saturno. In questo modo si sarebbe realizzato il sogno dell'eterna estate con notevoli progressi agricoli.
Ora il controspionaggio russo pare abbia individuato un progetto ben più ardito e segreto, di cui nessuno però sa fornire le prove concrete: H.A.A.R.P. (High-frequency Active Auroral Research), cioè «programma di ricerca attiva aurorale con alta frequenza».Per la verità HAARP esiste davvero, le antenne installate in Alaska secondo la tesi ufficiale studierebbero la ionosfera per ottenere un miglioramento nelle telecomunicazioni; altre nazioni lo fanno, come la Russia o il Giappone e in Europa la Norvegia a Tronmso e l'Inghilterra a Steeplebush. Il sito americano si trova a Gakona, circa 200 km a Nord-Est del Golfo del Principe Guglielmo; il terreno fu scelto nel 1993 da funzionari dell’Air Force e sono stati impiantati ben 180 piloni d'alluminio.
Queste antenne sono capaci di trasmettere onde ad alta frequenza fino a quote di 350Km. La ionosfera è composta da materia rarefatta allo stato di plasma, cioè di particelle cariche (ioni), e ha la proprietà di riflettere verso terra le onde hertziane, in particolare nelle ore notturne e questo è molto utile per ascoltare le radio dei Paesi stranieri di notte in AM dato che la riflessione ionosferica permette ai segnali di scavalcare la curvatura terrestre. Quindi HAARP si propone questo progetto: miglioramento di radar, comunicazioni, sistemi geofisici per la ricerca di petrolio.
I russi da molti anni ritengono che gli Usa siano in grado di modificare il clima dell’Eurasia lacerando lo strato di ozono. Fra gli impieghi ufficialmente dichiarati del progetto HAARP vi è: la comunicazione militare con i sottomarini, che avverrebbe inviando segnali ad alta frequenza ed intensità, tanto da far vibrare la ionosfera (che funge come filtro dei raggi solari). Il segnale può anche essere usato per la tomografia di penetrazione del terreno (una sorta di radiografia della superficie) e quindi la rilevazione di attrezzature sotterranee, rifugi, strati differenziali geologici a diversi chilometri di profondità.
Si ritiene invece che quest'arma possa interferire con estese zone dell'atmosfera e quindi, secondo la logica militare, abbattere missili ed aerei. Rispetto al clima Haarp tace. Resta la nostra immaginazione: pensate dunque ad un NINO creato artificialmente dall'uomo, ad una modificazione della corrente del Golfo, ad una Nao stravolta, ad un nuovo regime barico, un'eccezionale piovosità in zone aride e al contrario siccità in altre notoriamente piovose? Se queste onde sono in grado di scaldare o comunque di produrre modificazioni molecolari in troposfera, allora è possibile che una zona di alta pressione venga rafforzata, che una perturbazione possa essere potenziata generando calore al suolo ed esaltando la crescita delle nubi cumuliformi responsabili dei rovesci temporaleschi.
Perchè allora non ricorrere ad una simile arma per attenuare gli effetti dell'effetto serra antropico e far risparmiare un sacco di miliardi agli Stati Uniti per adeguarsi alle restrittive misure pro ambiente adottate a Kyoto? Il buon senso ci induce a pensare che se fosse veramente così facile agire sul clima gli americani avrebbero tentato in ogni modo di frenare l'avanzata degli uragani che sempre più spesso minacciano le piattaforme petrolifere. Però una domanda sorge spontanea: vale proprio la pena somministrare delle medicine ad un malato (il clima) che è tale solo per l'uomo?
Il sole, salvo qualche pausa, è in una fase di dinamismo ma entro una trentina d’anni questa attività si attenuerà, e se a questo uniamo un parziale inceppamento della Corrente del Golfo e un ciclo di retroazione climatica negativa, ne avremo abbastanza per ritrovarci velocemente in una nuova era glaciale.Sembra un controsenso ma è così: più calore, più energia in gioco, più umidità a disposizione alle alte latitudini, proprio dove transiteranno sempre più frequentemente le perturbazioni.
Un aumento della quantità di precipitazioni fornirà maggiori apporti di neve fresca alla Scandinavia e al Canada. La neve fresca riflette la radiazione solare, dunque quelle terre si raffredderanno sempre di più, spingendo le loro masse d’aria gelate verso le latitudini più basse. Il freddo insomma prima o poi ci raggiungerà comunque. Solo che ora stiamo vivendo la fase calda che prima o poi farà scattare quel meccanismo di retroazione e temporaneamente rischiamo di entrare in una fornace, con esiti molto pericolosi e certamente imprevedibili… Dunque ben venga il richiamo al "principio di precauzione" invocato dagli ambientalisti e da molti scienziati. Nel dubbio meglio non immettere nell'aria tutta questa anidride.
Il punto è che le energie alternative non decollano e prima o poi ci si dovrà tornare a misurare con il nucleare, perché nessuno vuole rinunciare alla tecnologia e al benessere conquistato, costi quel che costi, questa è la cruda verità.

mercoledì 3 ottobre 2007

Estensione record della Banchisa dell'Antartide !



Un dato in totale controtendenza con gli allarmismi che ci arrivano da ogni dove. Ed è una notizia che proviene da una più che solida fonte scientifica, e ci sono riportate da Fabio Vomiero del sito www.meteolive.it.
Ottime notizie che arrivano per l’Antartide dall’Università dell’Illinois, che elabora e divulga i dati provenienti dal National Snow and Ice Data Center (NSIDC) del Colorado, Ente che fa parte della NASA, e che si occupa dello studio e del monitoraggio dell’intera criosfera terrestre.
Ebbene, questi dati evidenziano come la banchisa antartica abbia raggiunto intorno a fine settembre il nuovo record di estensione pari a 16,17 milioni di Km quadrati, superando così, seppur di poco, il precedente record di 16,03 milioni di Km quadrati stabilito nel 2005.
Risultato raggiunto in extremis, in quanto, dopo l’ottimo dato di metà settembre di 15,91 milioni di Km quadrati, nei giorni successivi il ghiaccio sembrava avesse iniziato l’inevitabile fase di regressione, per poi invece riprendere ad estendersi a fine mese, verso il nuovo record, con valori che superano di oltre un milione di Km quadrati le medie storiche.
Ricordo ancora che i dati riguardano soltanto il ghiaccio marino e quindi la banchisa, non il ghiaccio continentale, e che la sistematica misurazione delle aree glaciali, è iniziata soltanto nel 1979, con l’avvento dei satelliti polari geostazionari. Ancora, purtroppo, pessime notizie, invece, riguardano la calotta glaciale artica, che sta vivendo ancora una fase di estrema sofferenza. Da oltre un mese oramai la banchisa è stabilmente ridimensionata al minimo storico di circa 3 milioni di Km quadrati, un’estensione che significa il 27% in meno rispetto al precedente record negativo del settembre 2005 (4,01 milioni di Km quadrati). Tutto questo vuol dire, che tra agosto e settembre sono stati persi oltre 2 milioni di Km quadrati di banchisa artica rispetto alle medie storiche, una superficie pari a quella di Alaska e Texas messi assieme.
Ricordo che il record assoluto di estensione minima è stato raggiunto il 16 settembre di quest’anno con 2,92 milioni di Km quadrati. Ora mediamente, con i primi di Ottobre, finalmente, dovrebbe iniziare l’inversione di tendenza, forse fanno ben sperare le prime ampie aree già innevate dell’Emisfero Boreale, visibili dalle immagini satellitari, che riguardano soprattutto il Canada nord-orientale e le regioni della Siberia nord-occidentale in corrispondenza del Mar di Kara e della Siberia orientale.

lunedì 1 ottobre 2007

Surriscaldamento Globale Colpa dell'Uomo - Non tutti sono d'accordo.

Accade da tempo che sul Surriscaldamento Globale del Pianeta dovuto all'azione nefasta dell'uomo vi sia un 'coro' del tutto eterogeneo, che propone e impone il suo punto di vista e le sue conclusioni catastrofiche. Ogni tanto però emergono - ed ultimamente ce ne sono diverse e sempre più autorevoli - voci del tutto dissonanti.
Una di queste ce la racconta Gabriele Beccaria per “La Stampa” che ha intervistato lo scienziato Richard Lindzen.
Ecco il suo resoconto.
Finalmente uno scienziato eretico. Sotto un cielo limpido e un’aria frizzante che spazza via i brutti presagi sul riscaldamento globale il professor Richard Lindzen si diverte moltissimo a sfidare i catastrofisti. Se in foto ama le pose sulfuree, dal vivo, invece, uno dei critici più celebri dell’effetto serra è un «entertainer» scatenato. E a volte ricorda Woody Allen.

«E allora?». «Credete che tutte queste chiacchiere siano scienza?». «Pensate solo alla Co2, ma che cosa dovremmo fare? Smettere di respirare? Sono certo che le termiti ne emettano molta più di noi, eppure nessuno le vuole limitare». «Questi allarmismi servono solo a limitare lo sviluppo». «E intanto molti scienziati che la pensano come me tacciono, perché hanno paura di perdere fondi e credibilità».
Professore, lei è a Venezia, dove ha partecipato alla conferenza «The Energy Challenge» organizzata dalla Fondazione Umberto Veronesi: come può negare quella che sembra un’evidenza oltre ogni dubbio? Proprio lei, che ha contribuito all’elaborazione del famoso rapporto dell’IPCC sui cambiamenti climatici!
«Lo sa che il rapporto dell’IPCC ha 2 mila pagine e che nessuno l’ha mai letto tutto? Al massimo un po’ di gente ha sfogliato i comunicati stampa».
Ma che la Terra si scaldi è assodato. O no?
«Sì, certo. C’è stato un riscaldamento nell’ultimo secolo e mezzo. E le nostre emissioni hanno dato un contributo. Il problema è che ora ecologisti, verdi e anche governi reclamano azioni immediate, ma queste paure non hanno niente a che fare con la scienza».
Inondazioni e siccità, scioglimento dei ghiacci e nuove malattie, tutti fenomeni legati al riscaldamento: le paure sono giustificate, non le pare?
«Non è così. Ciò che in tanti, e anche molti scienziati, non capiscono è che l’unica certezza che abbiamo sul clima è che sta cambiando. La Terra, però, si è sempre scaldata e raffreddata di qualche decimo di grado ogni anno. E, se si studia la storia del Pianeta, si nota che non c’è mai stata una temperatura “perfetta”. Gli allarmi su basano su un falso assunto».
Quale?
«Che viviamo in un mondo perfettamente stabile. Così si elaborano previsioni sul 2040 o sul 2100, costruendole su lunghissime catene di eventi, che diventano sempre più imprevedibili via via che i tempi si allungano. E alla fine l’attendibilità è pari a zero. Lei troverebbe mai un banchiere che scommetterebbe i propri soldi affidandosi a scenari del genere? Nessuno!».
Resta il fatto che buttiamo troppa Co2 nell’atmosfera e che - come anche lei riconosce - abbiamo una parte di responsabilità nell’aggravarsi dell’effetto serra. O no?
«Il punto è proprio questo: quanto stiamo veramente contribuendo al riscaldamento globale? Che i modelli siano sbagliati è dimostrato da un mistero: perché, se fosse vero, e non lo è, che è solo colpa nostra, le temperature non sono decisamente più alte di quelle che registriamo?».
Può spiegarlo?
«Le rispondo che, secondo molti modelli, un raddoppio della Co2 dovrebbe accrescere le temperature medie tra 1.5 e 4.5 gradi. Al momento abbiamo già superato i tre quarti di questi valori di emissione, eppure le temperature sono salite solo di 0.6 gradi dall’inizio dell’era industriale. E in più i cambiamenti non sono stati uniformi: il riscaldamento si è concentrato nei periodi tra il 1919 e il 1949 e tra il 1976 e il 1998, alternandosi a fasi di raffreddamento. E nessuno ha ancora spiegato in modo convincente queste discrepanze».

Lei riconoscerà almeno che l’inquinamento sta devastando il pianeta: immense nubi nere si estendono dalla Cina alla California, le foreste scompaiono e i grandi fiumi soccombono all’ipersfruttamento e alle aggressioni della chimica. Anche questi fenomeni sono allarmismo da quattro soldi?
«L’inquinamento è una questione immensamente più vasta, mentre per lo più ci si concentra unicamente sull’anidride carbonica. Ma il problema si risolverà».
E come? Cina e India fanno l’opposto.
«Pechino e Bombay faranno come hanno fatto Londra e Pittsburgh tra Ottocento e Novecento. Puliranno la loro aria e la loro acqua: succede sempre quando si arriva a un certo livello di sviluppo. Il benessere impone che si migliorino anche le condizioni ambientali. Noi, in America, l’abbiamo già fatto: ricordo Chicago quando ero un ragazzino. Gli strati neri si depositavano sulle finestre, mentre adesso si respira. A questo gli ecologisti non pensano mai».
Intanto non è meglio andare avanti con i tagli alle emissioni e cercare di raggiungere, almeno, i pur modesti parametri del Protocollo di Kyoto?
«La realtà è che, finora, le azioni intraprese per tagliare le emissioni hanno avuto una serie di conseguenze negative senza aumentare le nostre capacità di adattamento ai cambiamenti climatici. L’enfasi sull’etanolo, per esempio, ha causato rivolte in Messico per l’aumento dei prezzi del mais e nel Sud-Est asiatico ha accelerato il tasso di distruzione delle foreste».
Ma il rispetto dei limiti alle emissioni è considerato indispensabile, anche in molti Stati Usa.
«Questi tetti non conducono altro che all’aumento dei prezzi energetici e il “permit trading” - gli scambi internazionali delle quote di inquinamento - aggravano la corruzione: chi si ricorda che la Enron - la società Usa che ha provocato il più tremendo scandalo finanziario degli ultimi decenni - era una lobbista per il Protocollo di Kyoto? Sperava di mettere le mani su quel mercato!».
Comunque i combustibili fossili non ce li potremo permettere ancora a lungo: è ottimista sulle energie rinnovabili? Troveremo presto un sostituto credibile al petrolio?
«Il petrolio non finirà per il semplice fatto che a un certo punto diventerà troppo caro e quindi si investirà su altre risorse. In realtà c’è tempo: credo almeno tre secoli. Noi possiamo pensarci, ma saranno i nostri nipoti a risolvere il problema».